Verso i suoi sedici anni dovetti portare mio figlio dal medico, spaventata dalle dimensioni delle macchie che trovavo al mattino nel suo letto.
Sapevo che gli adolescenti hanno spesso delle polluzioni notturne, ma non riuscivo a capacitarmi della quantità di sperma che il suo corpo riusciva quotidianamente a produrre e a rilasciare.
Il medico lo visitò accuratamente e quando mi convocò nel suo studio mi disse che Marco stava benissimo, i suoi organi erano tutti in perfetto ordine e di non preoccuparmi più.
Gli uomini non sono tutti uguali, mi disse, c’è chi nasce alto e chi basso, chi biondo e chi bruno e c’è chi produce tanto liquido spermatico e chi poco.
Suo figlio ha delle ghiandole che ne producono, tanto, tantissimo. Dov’è il problema?
Per molti anni non ci pensai più, limitandomi a cambiargli spesso lenzuola e pigiama.
Solo qualche giorno fa – nel frattempo Marco è diventato un bel ragazzo di ventidue anni – mi si pose nuovamente il problema.
Venne a svegliarmi in piena notte accusando un dolore terribile ai testicoli. Allarmata volevo portarlo subito all’ospedale, oltretutto mio marito era via per lavoro.
Magari non è nulla, disse lui, non ho voglia di passare ore al pronto soccorso per sentirmi dire che devo prendere due aspirine.
E allora, cosa facciamo?
Non lo so mamma.
Dai, fammici dare un’occhiata.
Scusa?
Abbassati i calzoni del pigiama e fammi vedere.
Tu sei matta.
Non fare il cretino, sono tua madre.
Mi ero messa seduta sulla sponda del letto e la camicia da notte, una sottile camicina di cotone, mi lasciava scoperto il seno quasi per intero.
Notai che ci buttava l’occhio con una certa insistenza.
Forza, dissi seccata, abbassati quei maledetti calzoni.
Ubbidì e si fece scivolare i calzoni alle caviglie.
Santa madonna, avrei voluto esclamare, ma feci finta di nulla per non metterlo ancor più in imbarazzo.
Il suo membro, sicuramente non in erezione ma neppure completamente flaccido, era di dimensioni davvero importanti ed i testicoli parevano davvero colossali, due grosse uova in un sacchetto di pelle grinzosa.
Ci credo che ti fanno male, dissi, guarda come sono gonfi.
Nonostante avessi acceso solo la lucetta del comodino lo vidi arrossire.
Non sono gonfi, mamma, sono sempre così.
Non seppi cosa dire.
Ti dolgono sempre o solo al tatto, domandai.
Solo se li tocco o se devo camminare.
Mi sporsi un po’ in avanti per guardarli più da vicino, offrendo involontariamente a mio figlio, che era in piedi, la completa visione del mio seno.
Notai il suo membro prendere improvvisamente vita e sollevarsi di qualche centimetro.
Parliamoci chiaro, gli dissi, non è che li devi solo svuotare per caso.
Mamma, cosa dici!
Il suo viso si era fatto di fuoco ma il suo membro si era sollevato di qualche altro centimetro e adesso era semi eretto, con la testa ancora incappucciata.
Sarà, continuai imperterrita, ma per me li devi svuotare e vedrai che dopo ti passa tutto.
Devo ammettere che la visione di quel bel membro semi eretto, anche se era quello di mio figlio, non mi lasciava indifferente con quella pelle liscia e chiara e quel reticolo di vene spesse che lo percorreva.
Sentii che mi stavo bagnando tra le cosce e provai vergogna.
Bè, allora che facciamo? domandai nuovamente.
Non lo so proprio, mamma.
Dai, fammi sentire, dissi infine allungando una mano senza attendere il suo permesso.
Provai a tastare delicatamente i testicoli: erano duri come pietre.
Mio figlio lanciò un urletto di dolore, ma il suo membro diede un altro guizzo verso l’alto e vidi la testa rosata fare capolino dalla sua guaina di pelle.
Non del tutto involontariamente mi ero sporta ancora un po’ in avanti ed ormai il suo sguardo era fisso sull’ampia apertura della mia camicia da notte dove poteva godersi lo spettacolo del mio seno nudo.
Tastai nuovamente i testicoli e questa volta Marco non lanciò nessun urlo.
Vuoi che provi a massaggiarli un po’, domandai.
Possiamo provare, rispose facendosi un po’ più vicino.
Come avvicinai la mano per iniziare il massaggio vidi il suo membro guizzare letteralmente verso l’alto, e farsi duro e dritto davanti al mio viso.
A quella vista sentii un piacevole calore invadermi il basso ventre e mi accorsi che mi stavo bagnando sempre di più.
I capezzoli, induriti, segnavano il cotone della camicia da notte. Lui dovette notarli perché li fissava come incantato.
Mamma, mi disse ad un tratto, svuotameli tu, ti prego.
Non mi aspettavo una richiesta del genere e rimasi interdetta.
Che fare? Dirgli di no e farlo soffrire o accontentarlo e mettermi in una situazione pericolosa.
Cosa intendi dire, gli domandai per prendere tempo.
Hai capito benissimo. Svuotami i testicoli.
Come?
Come vuoi, va bene anche con le mani.
D’accordo, te li svuoto con le mani. Insomma, ti tiro una sega. E’ questo che vuoi?
Si.
Ok, allora levati il pigiama, anche la giacca e siediti sul bordo del letto, al mio fianco. Ti tiro una sega e poi ce ne andiamo a dormire e non se ne parla più, mai più.
Si spogliò completamente e, seduto al mio fianco, si apprestò a farsi tirare una sega da sua madre.
Prima di iniziare volli sapere la verità.
Ti facevano davvero male i testicoli o era tutta una scusa per farti tirare una sega.
Era una scusa, confessò.
Quando lo presi finalmente in mano, il suo cazzo era duro come il ferro ma la pelle che lo avvolgeva era morbida come seta, liscia e calda.
Gli proposi di sdraiarsi sul letto, ma lui preferì rimanere com’era.
Così posso toccarti il seno, mi disse.
Ma io non ti ho mica dato il permesso.
La sua mano, però, si era già infilata nella scollatura e stava giocando con le mie poppe, come quando era ancora bambino.
Poi ci infilò anche l’altro mano e le fece scivolare fuori dalla camicia da notte.
Come sono belle, disse, e prima che potessi accorgermi dei suoi propositi, allungò il collo e cominciò a baciarle, poi a leccarle e infine prese a ciucciare e a mordicchiare i capezzoli.
Col suo cazzo in mano ed il suo viso affondato tra le mie poppe mi stavo bagnando da fare schifo e non vedevo l’ora di potermi tirare un bel ditale. L’odore dei miei sughi si stava diffondendo nell’aria della piccola camera da notte e lui dovette percepirlo perché improvvisamente mi infilò una mano sotto la camicia e prese a farsi strada tra le mie cosce.
Avrei voluto cacciare quella mano e invece allargai le gambe e quando sentii i suoi polpastrelli percorrere i contorni della mia figa e giocare col mio clitoride diedi un gemito di piacere.
Hai voglia anche tu, vero mamma?
Si, caro, ho tanta voglia anch’io e appena ti avrò svuotato i coglioni e te ne sarai tornato in camera tua mi tirerò un bel ditale.
Non vuoi che te lo tiri io?
Ho paura, dissi, ho paura che poi facciamo qualche sciocchezza. Un conto è tirati una sega e lasciarmi toccare, altra cosa è farmelo mettere da mio figlio.
Perché tu avresti voglia di mettermelo, non è vero? Di la verità.
Eccome se avrei voglia di mettertelo. Vorrei mettertelo dappertutto.
Anche nel culo?
Soprattutto nel culo. Tu non sai quante seghe mi sono sparato pensando al tuo culo e quanto volte vi ho spiati mentre papà, quel bastardo, ti faceva mettere a pecora e te lo sbatteva nel culo.
Non parlare così di tuo padre, lo ammonii, mentre con i polpastrelli percorrevo i contorni della sua cappella.
Sebbene non gli avessi dato il permesso aveva iniziato a tirarmi un ditale e provai il bisogno impellente di tuffarmi su quel cazzo stupendo che guizzava tra le mie mani come un cavallino imbizzarrito.
Quando serrai le labbra intorno al suo cazzo Marco diede un gemito di piacere e quando presi a lavorargli la cappella mi sentii invadere la bocca da un liquido salato e colloso.
Stava sbavando copiosamente e pensai che fosse sul punto di godere. Rammentandomi di come riduceva le lenzuola quando era solo un ragazzino mi preparai a ricevere in gola una buona dose di sborra, ma per il momento non successe nulla.
Ero scomoda in quella posizione, così proposi di sdraiarci sul letto dove saremmo stati senz’altro più comodi.
Quando ci sdraiammo lui ne approfittò per infilare la testa sotto la camicia e, dopo avermi leccato le cosce, prese a leccarmi la figa a lingua piatta facendomi godere come una maiala mentre io gli leccavo la cappella, il cazzo ed i coglioni.
Ormai avevamo superato il punto di non ritorno e quando lui si sdraiò sopra di me e puntò la testa del cazzo in direzione della mia figa, io allargai le gambe e mi preparai ad accoglierlo.
Mentre scorreva dentro di me scopandomi con grande entusiasmo ma senza grande abilità, mi leccò il viso, le poppe, le orecchie, il collo, mi baciò in bocca e bevve la mia saliva.
Sto godendo, mamma, sto godendo tanto.
Godi, piccolo di mamma, godi, gli dicevo leccandogli a mia volta il viso, il collo, le orecchie, i capezzoli, fatti una bella goduta. Mamma è felice di farti godere. Puoi farle quello che vuoi, tutto quello che vuoi.
Glielo puoi mettere dove vuoi e se ti fa piacere puoi anche farle male. Puoi anche picchiarla se la cosa ti fa godere. L’unica cosa che non puoi fare è venire nella mia pancia. Non voglio certo correre il rischio di rimanere incinta di mio figlio.
Te lo posso mettere anche nel culo?
Certo che puoi, piccolo. Vuoi?
Mi misi alla pecorina e inarcai la schiena in modo da offrirgli meglio il mio culo.
Mettilo, piccolo, mettilo in culo a mamma e fatti una bella cavalcata. Nel culo ci puoi anche sborrare se ti fa piacere, tanto lì non c’è pericolo.
Doveva essere la prima volta che si faceva una inculata perché ci mise un po’ a infilarmelo, ma quando si fu sistemato mi inculò con gusto assestandomi dei colpi davvero violenti che gli facevano sbattere rumorosamente le palle contro le mie chiappe. Aggrappato alle mie spalle lo sentivo scorrere velocemente nei miei sfinteri mentre il suo sudore mi colava sulla schiena.
Che inculata, mamma, che inculata mi sto facendo, non credevo che fosse così bello. Ti faccio male?
No piccolo, stai tranquillo, non mi fai male. Inculati tranquillo la tua mamma e cerca di godere più che puoi. Cerca di sfregare bene la cappella contro le mie pareti interne, come fa tuo padre. Lui dice che la cosa lo fa godere da impazzire. Per sfregare bene la cappella devi metterti un po’ di traverso. Prova.
Feci come gli avevo detto e, sebbene per me fosse un po’ più doloroso farmi inculare di traverso non dissi nulla per non rovinargli la goduta.
E’ vero, mamma, è vero, così ti sfrego meglio le pareti e queste mi massaggiano i bordi della cappella. Sto godendo davvero tanto. Vorrei che non finisse mai, ma sento che sto per venire.
Fermati, allora, fermati per un po’, così lo fai durare più a lungo. Sfilati per qualche minuto e riposati.
Nel frattempo mamma si fa guardare mentre si tira un bel ditale. Ne ho una voglia pazzesca.
Dopo che si fu sfilato dal mio culo si mise in posizione per poter agevolmente assistere al mio ditale e quando estrassi dal cassetto del comodino due vibromassaggiatori lanciò un fischio.
Due? Domandò.
Uno per la figa e uno per il culo, gli risposi mettendoli in moto e piazzandoli dove avevo detto.
Farmi guardare da mio figlio mentre mi sbattevo la figa e i culo era terribilmente eccitante ed iniziai a godere come una troia colando sul lenzuolo sughi odorosi che si spandevano nell’aria.
Mentre guardi potresti ciucciarmi le dita dei piedi come fa sempre tuo padre quando me la monto a neve davanti a lui. Mi piace tanto, ho i piedi sensibili e sentirmeli leccare mi fa tanto godere.
Ho dei bei piedini, curati e delicati e lui se li ciucciò con gusto, quasi meglio di suo padre.
Dopo il primo lunghissimo e potentissimo orgasmo avevo quasi più voglia di prima, così continuai chiedendogli questa volta di leccarmi le poppe e le orecchie, dove sono altrettanto sensibile che nei piedi.
Dopo il secondo orgasmo seguì il terzo che mi fece letteralmente urlare mentre la mia figa spruzzava dappertutto e quando mi fui finalmente calmata decisi di dedicarmi a lui.
Vieni qua, gli dissi, siediti sul viso di mamma e fatti leccare il buco del culo. Ti piacerà, vedrai.
E difatti gli piacque talmente che quasi mi soffocò da tanto che spingeva il culo sulla mia faccia per farsi leccare l’interno dell’ano.
Fermati mamma, fermati o mi farai sborrare.
Quando si rialzò dal mio viso il suo cazzo colava come un rubinetto mal chiuso.
Il lenzuolo era tutto pieno di macchie dei miei sughi, dei miei spruzzi e della sua bava.
Non vuoi che mamma ti faccia sborrare?
Si, certo, ma non leccandomi il culo.
Come preferisci che ti faccia sborrare?
Potresti leccarmi un po’ la cappella, poi te la fai rimettere in pancia, nel culo e, infine, ti fai sborrare in faccia. Ti va?
Detto, fatto.
Mentre gli leccavo la cappella gli misi anche un dito nel culo come mi aveva insegnato mio marito e gli massaggiai delicatamente la prostata facendo aumentare il flusso della bava che ormai mi aveva letteralmente riempito la bocca, poi me lo feci mettere in pancia e nel culo e quando non riuscì proprio più a trattenersi si fece dare le ultime leccate alla cappella per potermi sborrare in faccia.
Rammentando di come imbrattava le lenzuola quando era solo un adolescente immaginai che mi avrebbe innaffiata tutta, ma le bordate che mi scaricò addosso superarono ogni mia aspettativa.
Pareva un giardiniere nell’atto di innaffiare un’aiuola, solo che dal suo tubo non usciva acqua ma una crema spessa e densa che volava dappertutto sporcando, oltre a me, ogni angolo della stanza.
Non li contai ma mi riversò addosso quindici, forse venti, schizzi di sborra uno più abbondante e più potente dell’altro e alla fine mi si fece più vicino e con il cazzo contro il mio viso liberò una rivolo interminabile di sborra, questa volta più liquida, che mi colò dappertutto formando sul lenzuolo una larga pozza.
Facemmo una lunga doccia ma il ragazzo non era ancora soddisfatto e dietro la promessa che dopo quella notte non mi avrebbe mai più chiesto di farlo godere, lo feci sborrare altre volte concedendogli di fare tutto quello che desiderava.
Volle che gli raccontassi nei minimi dettagli tutto quello che facevo con suo padre e mi estorse anche la confessione di qualche scappatella facendosi raccontare come facevo godere gli altri uomini, di come mi facessi chiavare e inculare da loro. Volle sapere che odore e che sapore avesse la loro sborra e si arrapò come una bestia quando gli dissi che un paio di volte avevo partecipato a dei festini, ovviamente ad insaputa di suo padre, dove cinque o sei negri giovanissimi mi avevano fatto godere fin quasi a svenire con i loro cazzi enormi e sempre dritti. Gli dissi che ne prendevo anche tre per volta, uno in pancia uno in culo ed uno in bocca mentre gli altri mi sborravano addosso. Gli dissi che mi era fatta picchiare da questi ragazzi e che avevo bevuto il loro piscio dopo avere ingoiato la loro sborra calda e saporita. Che gli avevo leccato il buco del culo e mi ero fatta scorreggiare in faccia. Che mi ero tirata un sacco di ditali guardandoli mentre si facevano tra di loro, mentre si leccavano avidamente le mazze, quelle splendide mazze nere e lucide, grosse, lunghe e nodose, e mentre se lo mettevano nel culo facendosi delle colossali godute. Gli raccontai di come passavo interi pomeriggi con due o tre amiche e con delle ragazzine raccattate per strada con le quali facevamo delle orge tremende con la faccia affondate tra le loro cosce a leccare quelle fighette deliziose mentre loro si baciavano in bocca e si stuzzicavano le tette. Di come abbassavamo loro le mutandine per sculacciarle o picchiarle con la cinghia per poi leccarcele dalla testa ai piedi.
Gli raccontai tutto, insomma, e lo feci godere come mai nessuna donna saprà farlo godere.
Perché di mamma ce n’è una sola.
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